lunedì 23 settembre 2013

Un puzzle






Giorni interi impiegati in un'esasperata corsa ad ostacoli, bypassando ogni forma di pensiero che può venirti in mente, evitando accuratamente d'inciampare e sbucciarti le ginocchia cadendo dentro le buche di quello che ti fa male. E poi una mattina non ci riesci più, cadi e ti rompi una gamba, così rimani spettatore della sfilata di pensieri che stavi evitando, che adesso non arrivano ordinati e uno per volta, ma in massa, come un plotone d'esecuzione pronto a darti il colpo di grazia. Ricordi di quando eri troppo piccola per capire, ma capivi benissimo e le parole rimanevano incise come uno stigma, coma olio bollente che cade sulla carne per farsi tatuaggio. Chiedevo sempre, ero curiosa, volevo capire, e lo faccio ancora, sempre meno però. Mia nonna, mia zia e mia madre, tre donne completamente diverse a cui devo tutto quanto. Mi sembra così assurdo pensare che da mia nonna sono venute fuori due persone opposte in tutto, in passioni, forza, debolezze. Mia madre, mi ha insegnato a non dire, a lasciare che le cose passino, così in silenzio, a lottare solo per affermarmi, per essere qualcuno, per essere la migliore in tutti i campi, a non piangere mai, a sorridere quando mi arriva uno schiaffo in piena faccia, a difendermi anche con i denti quando è necessario. Mia zia invece mi ha insegnato a chiedermi perchè, a non fermarmi davanti alle apparenze, a darmi le risposte da sola, senza elemosinare niente da nessuno, era quella che mi raccontava le fiabe e m'insegnava a convivere con i brutti pensieri, guardandoli dall'alto verso il basso, non lasciando che vincessero loro, ma che vincessi io, era quella che m'invitava a tirare fuori le lacrime, che mi provocava nei punti in cui sentivo più dolore per togliermi dall'anestesia di mia madre. Poi c'era mia nonna, la parola dolce, la richiesta di un bacetto quando io già da allora non sapevo darne di mia spontanea volontà, c'era lei a cui raccontavo tutto, lei che m'insegnava i proverbi, lei che stava con me quando avevo la febbre, lei che lodava e soffriva per la mia intelligenza, per la mia immaginazione senza confini, lei che rispondeva alle domande, lei che si assumeva le responsabilità, lei a cui a sette anni ho chiesto "perchè la mamma non dice mai che gli manca mio papà?" lei che mi ha risposto con gli occhi colpevoli e con le parole "Perchè io non le ho saputo spiegare che non è una vergogna provare sentimenti". Io che rimanevo in silenzio e sentivo per la prima volta quanto il silenzio fosse assordante. Mia nonna che sbagliava, la più saggia che ammetteva i suoi errori, che se ne assumeva la responsabilità, colpevole. E io allora che iniziavo a dirlo che mi mancava mio papà, mia madre che non lo sopportava, e io che piangevo quando lo vedevo andare via, come se quella fosse l'ultima volta che l'avrei visto, vederlo partire all'aereoporto, varcare il check-in sicuro e spavaldo come sempre, era sentire il mio cuore tranciato da un bisturi. Tornavo a casa e trovavo mia nonna, lei che m'insegnava che quando si è tristi c'è un modo per venirne fuori, e io che le chiedevo di insegnarmi, lei che diceva che bastava avere un pensiero felice in cui rifugiarsi, una tana sicura, una persona, una situazione accaduta, ma mai solo pensata, un qualcosa che hai vissuto e che ti ha fatto stare talmente bene che solo pensarla ti tira fuori dal buio della tristezza. E allora io pensavo sempre a quando ero andata al luna park con i miei e mio fratello, a quanti peluche aveva vinto mio papà, a quante papere avevo pescato, a quanto stavo bene, e tutto passava. Oggi a distanza di quindici anni, il mio pensiero felice, è solo una cosa pensata, non vissuta, una cosa che sta tutta nella mia testa, e ho capito perchè mia nonna m'invitava ad attaccarmi a cose già successe, perchè quelle che tu immagini e non hai sono quelle che ti fanno male, sono il tuo pensiero felice e la tua tristezza.
Oggi vedo che sono come loro, come tutte e tre, sono come voleva mia madre, quella che deve vincere, che lotta per il futuro, sono come voleva mia zia, quella che deve sapere il perchè, quella che deve scavare in fondo, sono come mi voleva mia nonna, alla ricerca di un pensiero felice. E sono anche come loro non volevano che fossi, incapace di sorridere quando mi arriva un pugno in faccia, incapace di tirare fuori le lacrime, incapace di provare sentimenti senza vergognarmi di essere una persona debole, incapace di ammettere che una persona mi manca, incapace di farglielo sapere, incapace di farglielo capire. Un puzzle vivente di cinquecento pezzi, a cui mancano gli altri cinquecento per arrivare alla completezza, gli altri cinquecento pezzi che non vogliono far parte di nessun puzzle. Così vince l'orgoglio e mi do alla fuga, la cosa che mi riesce meglio, andare via, senza far rumore, senza dire nulla, lasciando che le cose passino anche se non passano mai, anche se restano qua vicino a me ad accarezzarmi la mano mentre scrivo, a sfiorarmi la mente mentre cerco di scacciarlo via inutilmente, mentre continua a mancarmi, senza che io abbia il coraggio e la forza necessaria ad ammetterlo, senza che io riesca ad ammettere che non potrei sopportare il vederlo accanto ad un'altra persona e avendo la consapevolezza che non saprei neppure fermarlo. La consapevolezza della mia incapacità. E non so cosa mi fa più male oggi, sapere che è Lui il resto del puzzle o sapere che non ne vuole fare parte.



“So bene quanto sia difficile per lui rinunciare alle sue difese, quando ha avuto molti giorni a disposizione per rafforzarle senza la mia presenza. Ma comincio a pensare che lo stesso valga per me.”
                                                                                                         Chiara Gamberale- La zona cieca





Che paura che hai,
che paura che ho di te.
Tutto quello che fai
e che continui a difendere.
Sei vicino e distante,
non ti fidi di niente,
neanche di me.

Non funzionerà mai
se non funziona così com'è
e non migliorerai
se ti ostini ad attendere
come acqua stagnante
non c'è nessuna corrente
dentro di te
(e non ti puoi nascondere)

E complimenti mi hai convinto che l'amore non basta
e così non mi resta
che lasciarti stare
senza nessuno che ti giudica nessuno, intendo, che ti sgrida e si preoccupa.
Sarà senz'altro
tutto molto più leggero,
ma sei sicuro che sia meglio
per davvero?

Volevo esserti di peso,
perché dipendo da te.
E' che l'amore non basta
e tutto quello che resta di te
senza nessuno che mi giudica nessuno, intendo, che mi sgrida e si preoccupa.
sarà senz'altro
tutto molto più leggero
però non credo che sia meglio davvero.
Volevo esserti di peso.
Volevo esserti di peso.


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