domenica 27 ottobre 2013

Due lettere






Le due e mezza. Era da una vita che non facevo quest'orario, ma anche oggi che è tardi, che nel pomeriggio ho evitato di dormire per non pensare, non riesco a prendere sonno. Fuori dalla finestra vedo i fuochi d'artificio che brillano nel mare, e alle mie spalle sento l'Etna urlare e squarciare questo silenzio assordante.  Penso, sempre a troppe cose, e lascio che i pensieri e le parole mi lacerino indisturbati. E ogni giorno sta andando a parare verso tutto quello che non avrei mai voluto: perdere le persone che amo. Io le vedo andare via, ma sono impotente: non posso prendere la sua malattia e ammazzarla, non posso costringere le persone a fidarsi di me e a volermi bene come io ne voglio a loro. Non posso anche se è l'unica cosa che voglio. Così sono qua davanti a me stessa, da sola, mi tolgo i guantoni che ho usato per combattere dicendo che non sentivo male, che non era niente, e inizio a cucirmi le ferite da sola, e fanno male, ma lo so solo io. Mi tolgo la maschera e mi guardo così come solo io posso vedermi, disarmata, sconfitta.  Così scrivo, scrivo tanto, scrivo due lettere, per due destinatari diversi , e nessuno dei due le leggerà mai, le seppellirò come tutto dentro di me e lascerò che entrino nel vuoto. In quella indirizzata a te, zia, te lo dico finalmente quello che mi hai sempre chiesto, mi hai chiesto se mi era mancato qualcosa, se avrei voluto altro: non potevo volere nient'altro, tu mi hai dato tutto il bene di cui avevo bisogno, tutta la comprensione, tutto l'ascolto, tutto quello che potevo desiderare. Mi hai detto che non dovevo portare rancore, che dovevo essere migliore. Io ci provo ad essere migliore, a volere bene lo stesso, anche chi non mi ricambia, anche chi mi cancella, anche chi mi butta via come se fossi spazzatura. E alle tue promesse ho sempre creduto, perchè fino alla fine le hai mantenute, mi hai detto che avesti lottato e lo fai anche ora che non c'è più niente da fare. Mi hai detto che lo sapevi che ti stavo mentendo, ma io zia, questa volta la verità non te la potevo dire, non la potevo dire manco a me stessa. Non riesco a dirla neppure ora. E non te l'ho mai detto, ma io ero felice quando mi scambiavano per tua figlia, perchè tu sei sempre stata mia mamma anche se non lo eri per il sangue, è stato lo stesso. E ora che te ne stai andando, io conservo la tua ultima carezza, le tue ultime parole, preoccupata come sempre per tutti, ma più per me. Io l'ho visto quando mi hai fatto avvicinare al letto, l'ho visto nelle tue lacrime soffocate che tu hai capito e tu sai che io so, perchè tra noi è sempre stato così. E oggi sento che non riesco a respiare, perchè tu sei lì ad aspettare nel dolore una morte a cui tu non ti rassegni.  E io ti tengo con me per sempre così.



sabato 26 ottobre 2013

Spezzata


"Dovunque stai è uguale, quello che hai te lo porti dentro. Non c'è bisogno di nient'altro che del tuo corpo, è la casa di tutti i tuoi strappi, delle tue cicatrici. Il posto degli affetti che non hai, degli amori che non ti vogliono e di quelli che ti sei costruita per andare avanti. Quello che hai te lo trascini appresso, non è nelle persone e nemmeno nelle cose che ti ricordano delle persone. Quello che hai sta dentro di te."

Valentina D'Urbano- Acquanera

Partire per non ritornare più.


Notte insonne. Non si sente neanche un'anima, il pro e il contro di stare in un piccolo paese di montagna. Il freddo quest'anno non vuole arrivare e il gelo che mi fa da coperta stasera. Mi convinco che è la lavatrice a non farmi dormire, ma lo so bene che c'è dell'altro, c'è sempre Altro. Sono anni che sento che dentro di me  che c'è qualcosa che non va, qualcosa che non funziona. Uno strappo definitivo, uno strappo che stava appeso a una minuscola fibbra rimasta, poi spezzatasi del tutto. Non sono mai stata come i miei compagni di classe e lo sapevo, ma non sapevo che lo sapevano anche loro. Anni fa un ragazzo che era stato da sempre con me in classe e che aveva una cotta per me, trasformata in condanna ad un'amicizia forzata dal fatto che io non volevo saperne di lui, mi ha detto, che io ero sempre stata diversa, che guardavo tutti loro con distacco, che mi allontanavo come se i loro discorsi non avessero importanza, peso, senso ed era per questo che nessuno osava avvicinarmi. Io lo sapevo che non mi avvicinavano, ma non m'importava, mi stava bene così, la solitudine per me non è mai stata un grosso problema, semplicemente non la sentivo, mi faceva stare bene, perchè mi evitava le domande e le non risposte che dovevo dare. E c'era questo filo che conservava la speranza e teneva in piedi la mia persona nella sua parte ancora incontaminata, pura. Poi questo filo si è spezzato del tutto: erano le tre di notte del 30 ottobre del 2006.  Mentre tutti dormivano, tranne me e Lei, svegliata dal mio pianto a dirotto, a me si spezzava qualcosa dentro e diventavo un'altra, diventavo Morgan.
Quella notte in questo stesso letto, con la stessa coperta, ho avvertito  il vuoto che iniziava a riempirmi, che si portava via tutto: la luce dai miei occhi, il sorriso, la dolcezza, la delicatezza, le belle parole, tutto il buono che c'era. I mesi passavano e io non guarivo, non tornavo più, alla fine sono passati anche gli anni e io stessa ho capito che quella persona era morta, adesso ero un'altra. Lei mi guardava e aveva paura perchè non tornavo più, e alla fine si è dovuta rassegnare a volermi bene così rotta com'ero. Il 31 ottobre scrissi la fine sulla mia moleskine senza alcuna pietà, scrissi: oggi il mio cuore si è fermato e ha smesso di amare, non mi fiderò mai più di nessuno. Ho mantenuto la promessa, come se fosse un patto fatto col mio stesso sangue. Per me le promesse sono sempre state sacre, da quando ero bambina e ancora oggi lo sono. All'epoca ero piena di rabbia, perchè ero stata debole, perchè sapevo che non dovevo, ma avevo solo sedici anni e dovevo darmi un'opportunità, una sola di credere che qualcosa di straordinario era possibile. Quell'opportunità me la sono concessa, e si è bruciata, la cenere si è dispersa ovunque e ha sporcato anche la parte pulita che mi era rimasta, ma non mi ha uccisa, mi ha lasciata viva e contaminata. E per certe infezioni non c'è cura, niente che le debelli, si possono solo accettare e considerarle un'anestetico. Le cure sono solo palliative. Ma una cosa in questi sette anni è cambiata, ho smesso di avere rancore, ho perdonato mio padre e ho accettato la sua disfatta, il suo fallimento e la sua resa, l'ho separato dall'idea che nutrivo di lui, e l'ho preso per quello che è, una persona in fondo sciocca e debole. A che serve sparare su una croce rossa?  A niente. A cosa serve odiare? A niente, ti rosicchia l'anima e poi la carne, ti porta via anche le ossa alla fine, ti fa morire. E forse non è sbagliato essere così spezzata se riesco a pagare ancora per tutti i miei sbagli, per tutte le cose che non dico e per quelle che dico prendendo grossi abbagli e grosse mazzate. Ne ho prese tante mazzate, e non mi fanno paura, nemmeno male, il vuoto ha preso tutto, non si allarga più ormai, non ha dove andare, ha coperto tutti gli spazi liberi, e fa parte di me, come un polmone, un rene, come il cervello. Quando il vuoto ti ha preso, niente fa più paura. 


Indossi il vuoto con classe
ma è tutto ciò che avrai

giovedì 24 ottobre 2013

Magari un giorno te lo dico

"Ho amato quella testa una volta e forse la amo ancora. L'ho amata di un amore strano, un amore che non voleva accettarsi, che si respingeva da solo. Un sentimento che si riparava da un altro che non c'era, un sentimento che faceva da scudo. [...] La gente si ama, si ama continuamente. L'ho visto. Le persone sbandierano il loro amore a chiunque, te lo sbattono in faccia con arroganza. Amare qualcuno e avere qualcuno che ti ama è qualcosa che ti rende migliore, una garanzia agli occhi degli altri. Penso che è amore rappreso. E' bigiotteria, non vale niente. E' lucente in superficie, ma dentro è nero, rugginoso, s'inceppa e non funziona. L'amore, quello vero, è quello che la gente nasconde. Quello che rende fragili e cattivi, quello che rende meschini. Quello che rende avidi. Disposti a tutto. L'amore è scuro, vischioso, è il sangue che si addensa e chiude i contorni di una cicatrice. [...] E' muffa, che ti vive addosso mentre tu sei morto. Quello che non vorresti fare vedere a nessuno. L'amore che ti vergogni di provare."
                                                                                            Valentina D'Urbano- Acquanera







Riprendere l'autobus dopo tre anni, non ricordi manco a che ora passa, così esci  venti minuti prima e hai più tempo per osservarti osservare la gente che corre incurante con le macchine, la gente che ti passa davanti e non t'ignora, per vedere chi non vuoi vedere, quella persona a cui col tuo sguardo ricorderai sempre il marchio che si porta addosso, quel marchio che tu stessa per vendicarti gli hai dovuto fare. E finalmente lo capisce dal tuo sguardo spietato, dal tuo viso contratto che non è più il caso nemmeno di accennare un saluto. E non senti niente quando lo guardi, tranne che la pena per te stessa, per aver perso sei anni dietro un'idea molto distante dalla realtà. E può anche provare a passarti davanti tre volte, ormai non ti sconvolge più, ti lascia impassibile e severa, come sempre. La musica del lettore ti tiene compagnia, e prova ad abbattere il muro di silenzio che ti sei costruita da due giorni a questa parte, per scansare quel viso a cui tanto vuoi bene dentro quella prigione piena di flebo. E i pensieri sono talmente tanti dentro la tua testa, che sembra quasi che da un momento all'altro ti potrà scoppiare. Ma sei più forte di loro, sei più forte e lo sai, è questo che ti ha spinto ad alzarti e truccare la tua faccia tanto da mascherare i cerchi neri che hai sotto gli occhi e ad andare a lezione nonostante tutto. E sei forte perchè c'è Lui. C'è Lui che dalla sua distanza, riesce a sfiorarti comunque, riesce ad alleviare il dolore, con poche parole volutamente sfuggenti, ma vere. C'è Lui di cui anche tu non puoi fare a meno, c'è Lui che non sa quanto ti è entrato dentro, quanto ti manca sempre, quanto vorresti sapere tutto quello che gli passa  per la testa, tutto quello che lo rende distrattamente attento e scostante. C'è Lui che ha curato le tue ferite, c'è lui che l'ha fatto da lontano, senza neppure saperlo, c'è lui che ti sfiora e scappa via, come se tu potessi romperti, non capendo che tu sai che lui non farebbe mai niente per fare del male a te, ma preferirebbe farlo a se stesso, come fa sempre, quando pensa di non meritare niente da nessuno, come quando non accetta nulla. Perchè lui è la tua ombra, fa parte di te e non puoi farne a meno, ma lui questo non lo saprà mai.



Coprimi di sogni e di coraggio
portami via da qui
tu capisci bene il mio linguaggio lascia che sia così
che tanto sei la cosa più importante per me.

mercoledì 16 ottobre 2013

Silvia Camagni



Se ne andò di casa un pomeriggio di maggio, lasciando che il sole sbiadisse tutto quello che era stato. Portò con sé gli occhi neri di sua madre, un orologio rotto, la promessa inutile di un indirizzo sbagliato.
Poi in un bar lungo la strada un ragazzo le chiese della sua solitudine della sua testa rasata.
Lei rispose: "Sono la vedova dei vent'anni mai passati, le mie bottiglie sono vuote o sono chiuse, ma la strada è fatta anche per questo e se vuoi ti aspetto."
Si fermarono a dormire in una pensione a due passi dal mare. Lui le offrì il suo corpo glabro e la canzone nella pubblicità di una gomma da masticare; lei gli mostrò una stanza buia proprio in fondo al suo cuore.
"Vorrei invitarti a entrare" gli disse "ma c'è troppa confusione."
Si lasciarono la mattina dopo a un incrocio senza niente da dirsi, giusto un gesto del capo. Si lasciarono come tutte le cose destinate a dividersi, come il mare e la terra, come gli amanti di un'ora.
Silvia, stai attenta, copriti meglio. Conserva l'amore per quando fa freddo. Qualcuno mi ha detto che vivi a Berlino, che esci la sera, che abiti sola. Io ti sogno, ogni tanto, che attraversi
la strada, ti giri e mi gridi: "Fai presto!"
Poi di colpo scompari.

martedì 8 ottobre 2013

Non vai da nessuna parte.



"Metti il bicarbonato su quell'occhio, guarda come ti sei ridotta!" tua madre urla alle sei e mezza di mattina. E a te non importa di come ti sei ridotta l'occhio, di quanto è gonfio, di quanto è rosso, di quanto brucia, secco senza lacrime da versare, distrutto, una pozza lucida pronta ad esplodere dentro le orbite. Sono sempre meno le cose di cui t'importa. Non sai neppure cosa ti ha spinto ieri a fare quel tour negli ospedali e sentirti dire "Fase terminale" è pugnalarti, ucciderti mentre sei ancora in dormiveglia, e quelle parole sono arrivate dritte dentro il petto, l'hanno spaccato in mille pezzi e il rumore di tutto quello che si stava rompendo è stato assordante, come quello di un vaso di cristallo che cade da un piedistallo, uno di quelli che anche quando lo rimetti a posto e lo incolli è inutile perchè non ha più valore, perchè sarà sempre a pezzi. E cerchi la forza in mezzo a un deserto dove non ci sono neppure stampelle per rimetterti in piedi. Distruggi tutto quello che ti circonda, fai volare i libri, i cd, tutto quanto e ti guardi attorno: ecco cosa ti resta. Tutto l'ordine distrutto, perchè è Lei l'ordine, perchè la vedi sdraiata nel tuo letto che ti dice che volendo queste Luci della centrale elettrica non fanno così schifo, perchè la vedi che ti dice che basta adesso di leggere Pessoa, adesso devi studiare, leggiti un po' di contratto no? La senti che ti chiede di spiegarle come decide un giudice nel processo civile per metterti alla prova. La vedi entrare e chiederti di farle compagnia. La vedi  e ti vedi in quel letto ridotta  come una larva senza speranze. Tutti non sanno cosa dire, perchè non esistono parole, perchè non c'è niente di giusto in tutto questo. Perchè la vita e la gente sono uguali, ti scaricano addosso un sacco di pietre, ti portano via qualcosa di te, ti portano via chi ami e poi se ne vanno e ti lasciano lì ad aspettare che arrivi qualcun altro e ti porti via dell'altro. E tu non ci credi a questa bella storia che quando ami qualcuno lo lasci andare, perchè è ipocrita, quando ami qualcuno non lo lasci andare da nessuna parte, lo vuoi accanto a te, ogni giorno, ogni istante, non esiste che non lo vuoi sentire, non esiste che impari ad essere felice senza di lui, non esiste che speri che lui sia felice senza di te. Queste sono favolette, cose per apparire più nobili di quanto non siamo. Quando ami qualcuno lo tieni accanto a te, sempre, nel dolore, nella gioia, nella speranza che muore. Quando ami qualcuno non te ne vai da nessuna parte.



Io ti verrò a cercare quando il buio tenta
Di far risaltare la tua assenza.

domenica 6 ottobre 2013

Non essere schizzinosi



 "La cosa più difficile da accettare nella vita è l'incomunicabilità. Quell'impossibilità di dire esattamente quello che si vuole perchè mancano le parole per dire esattamente ciò che si prova.
Mancano le parole giuste, mancano tutte le parole, anche quelle sbagliate."
                                              Michela Marzano- L'amore è tutto: l'amore è tutto ciò che so dell'amore


                                                                                                                                      Vladimir Kush

Le tre di notte. Era da un anno che non andavi ad una serata, un anno che non toccavi una bevanda contenente in qualche modo alcol e adesso sei lì a rigirarti tra le coperte, ancora con il pigiama estivo nonostante il freddo che comincia a farsi sentire. Ed è una lotta, una lotta con te stessa per addormentarti e non pensare a niente, non pensare a Lei, non pensare a Lui. E vincono loro come sempre. E' una battaglia impari, due contro uno. I giorni passano e non sai se troppo lentamente o troppo velocemente, e il silenzio diventa sempre di più necessario, chiarificatore, liberatorio. Ti vedi più forte, più resistente che mai, sempre più un muro di pietra su cui scivola tutto, difficile da essere abbattuto e ti va bene così, sai che potrebbe essere peggio.  Il numero delle persone di cui imparare a fare a meno si accresce di giorno in giorno, recluta nuovi membri come se fosse una gara a chi si fa arruolare per primo. E vorresti tantissimo sbagliarti, alzarti un giorno e dire: Come sono stata stupida, credevo di vedere mentre avevo ancora gli occhi chiusi. Ma non è così. Quel giorno non arriva mai, non arriva come non arriva il messaggio, la chiamata che aspetti, come non arriva niente di quello su cui riponi anche solo una parvenza di aspettativa. Perchè è appunto l'aspettativa che ti frega sempre, quello che tu immagini degli altri a confronto con quello che gli altri sono. Le parole a cui hai voluto credere e a cui non dovevi credere. Parole, solo parole e fatti tutti opposti. Che senso può avere così? Poi un tuono nel cielo già in tempesta: danno neurologico. E adesso di Lei cosa sta rimanendo, la voce andata via, l'udito pure, e adesso anche il senno, che senso ha vivere così, vivere per soffrire? Che senso ha il fatto che non trovi neppure parole per dire che non è giusto, che le parole vengono fuori solo quando le scrivi. Poi ti guardi attorno, e ti rendi conto che non dirle le cose ti mette al riparo, forse è da vigliacchi questo è vero, ma non ti espone ai colpi d'indifferenza, d'incomprensione che potrebbero essere peggio di un silenzio orgoglioso e ventennale. Alla fine è tutto come il pacchetto di crackers che tieni nella borsa: tutto si è sbriciolato ed è rimasto imprigionato dentro la plastica chiusa ermeticamente, ma tu non sei schizzinosa e se hai fame non lo butti via, lo mangi lo stesso, e anche se è poco, se non ti sfamerà mai del tutto, sarà sempre meglio di un torsolo di mela da cui non puoi prendere più neanche un morso, dato che è stata divorata da qualcun altra.




E' tutto un gioco,
l'esistenza è solo un gioco
E a me non dispiace
per le cose che ho perso
e non cerco più nessuno.

venerdì 4 ottobre 2013

Tu non torni mai



Tu come fai senza di noi
come vivi, come ridi
mi pensi mai, mi cercherai
se ti scrivo mi risponderai come stai
se era un sogno non svegliarmi mai
Ieri un cervo bianco ha sorvolato la città
sbandando per il vento si è fermato qua
aveva grandi occhi come i tuoi, i tuoi, i tuoi
e tu non torni mai
e tu non torni mai
e tu non torni

Aspetterai chi consolerai
quanto tempo ti concederai, dove stai

Oggi un elefante viola ha scritto una poesia
piangendo l'ha stracciata ed è scappato via
aveva grandi occhi come i tuoi, i tuoi, i tuoi
e tu non torni mai

Pensami
se puoi pensarmi
scrivimi
se vuoi parlarmi
guardami
se sai vedermi
toccami
se vuoi cercarmi