domenica 29 aprile 2012

Desperate love



The night embraces me where am I now?
I’ve chosen my fate I’m alone
There’s nothing here but storms and tears
I’ve not found the promised land

Life hurts me everyday

I need love desperate love
Life hurts me everyday
I need love desperate love

I fought my war against the world

I sacrificed friends and hopes
To the forest I came back
But at what price brother wolf?

Life hurts me everyday

I need love desperate love
Life hurts me everyday
I need love desperate love

Life hurts me everyday

I need love desperate love
Life hurts me everyday
I need love desperate love

sabato 21 aprile 2012

Giocare col cartone

                                                                                                                           Mihai Criste

Alle otto del mattino duemila strarnuti, maledetta primavera stavolta sei arrivata davvero. Un giorno esci fuori e tutto è diventato verde, tutto rinasce e colma i vuoti  lasciati dall'inverno.  Consola quasi sapere che i vuoti si colmano, almeno in superficie, come lo smalto copre il vuoto di unghie nude. Ho letto che i vuoti non possono essere colmati se non con la stessa cosa che li ha generati, con un incastro perfetto insomma.  Ieri dovevo costruire  col cartone e mi hanno dato in mano forbici da giardinaggio e taglierini, mi sono detta: "ok, io che sono un pericolo anche quando taglio il pane a casa, oggi o mutilo la mia mano oppure, nella distrazione, quella del bambino che è con me". All'inizio il piccolo se ne esce con la geniale idea di voler realizzare un gatto che corre su un tetto e si mangia un topo, ma viene dissuaso  dalla mia imbranataggine e dalla mia scarsa manualità. Alla fine si convince a realizzare un dinosauro ma il mio disegno è peggio di quelli dell'uomo di Neanderthal e non posso appellarmi neppure a qualche avanguardia novecentesca per giustificarmi davanti a un bambino di sei anni appena compiuti. Ma il bimbo creativo e volitivo più di me decide che quello sgorbio sarà un drago a cui decidiamo di applicare delle squame sul dorso. Comincio a tagliare il cartone con la forbice per potare i rami e penso che la mia faccia da fatica di Ercole era così lampante, che il bambino ad ogni squama inizia ad esclamare "E' superbella, è perfetta". Mi veniva da ridere. Finisco le ventidue squame e arriviamo al punto di dover realizzare le zampe. Disegno due grossi archi e li ritaglio. Devo tagliare il dorso dell'animale e gli archi al centro per l'incastro. Taglio di più gli archi e di meno il dorso  ma s'incastrano lo stesso.  Faccio la stessa cosa con le altre due zampe. Incrociando le dita spero che il mostro di Lochness stia in piedi e nonostante i miei ritagli assurdi e sproporzionati il "capolavoro" ha un equilibrio. E' qui che mi rendo conto che non servono incastri "perfetti", che i vuoti si riempiono lo stesso anche se non del tutto, e si sta in piedi comunque e anche bene. Quindi le scatole costruite  si distruggono per demolire la loro apparenza di scatole e costruire altro, ciò che non ti aspetti, ciò che t'immagini, che vuoi.

Ogni tre ami c'è una stella marina
Ogni tre stelle un aereo che vola
Ogni tre notti un sogno che mi consola
De Andrè


Sarà bellissimo
Fare parte della gente
senza appartenere a niente.

mercoledì 18 aprile 2012

Ho più freddo adesso

                                                                                                                                        Ester Negretti
Aprile e lo stesso freddo di dicembre, stessa apatia e stessi stadi mentali altalenanti e contrastanti.
Mi hanno regalato un'agenda grande quanto un catalogo di mobili, con la copertina nera pesantissima.
Le pagine sono esasperatamente bianche, nè una riga, nè i numeri dei giorni, solo il vuoto.
Osservo questo quadrato bianco e la penna s'immobilizza sul foglio: parole non dette adesso anche non scritte. Mancano le righe, manca lo schema che divide il vuoto in piccole dosi. Nero fuori e bianco dentro.
Analizzi i fatti e nella consapevole assurdità ci provi ancora a trovare una motivazione per cose e persone illogiche che sono esattamente l'opposto di come te le eri rappresentate. Chilometri di elenchi di fatti,  ciascuno accompagnato fedelmente dal proprio "ma"; solo che quando finiscono i "ma" comincia il decalogo dei "se". Sono appunto quei quintali di "se", il fatto che le risposte "giuste" le trovi sempre dopo aver già espresso la tua opinione e il dato intrascurabile dell'essere il primo giudice delle tue azioni e omissioni, che ti fregano sempre.


No wonder I feel like I'm floating on air
Everywhere
It feels like I'm everywhere.

lunedì 16 aprile 2012

Echoes in my mind

Ha ancora senso battersi contro un demone quando la dittatura è dentro di te?
Afterhours- Padania




Ci sono pensieri, sensazioni ed emozioni che ti schiacciano e di cui occorre provare a disfarsi, prima che loro riescano a disfarsi di te. Essere una persona che conserva tutto ha questo prezzo: il sovraccarico, l'eccesso, quel surplus che alla fine ti disgusta ed esaurisce. Quando finisci lo spazio-tolleranza, devi necessariamente gettare via. Ma tu lo sai che non riuscirai e non puoi allontanare tutto. Sindrome di Stoccolma verso le cose che ti pesano di più. Occorrerebbe una raccolta differenziata in tre diversi box così etichettati:
- Rilevante
- Irrilevante
- Indifferente
E proprio come quando fai la raccolta differenziata della spazzatura con carta, plastica e vetro, accade sempre che qualcosa finisce nel box sbagliato, che magari non ti accorgi che una bottiglia che credi di vetro è solo plastic più spessa e lucida. Ogni volta che sbagli c'è l'operatore ecologico di turno che paga il tuo errore con il suo lavoro, ma nel caso mentale ogni sbaglio è pagato col tormento di un'eco perenne nella memoria.
E ora so che se avessi saputo dove buttarti, non ti avrei perso prima ancora di averti o non averti.

venerdì 13 aprile 2012

Sai piccina che a nessuno frega chi può nuota chi non può annega

                                                                                                                                       Patrick Desmet

L'asfalto viscido sotto i miei passi si mischia ai residui di pioggia nera, caduta giorni fa. Sotto l'acqua il rumore dei miei piedi decisi si confonde con i copertoni delle auto in corsa che aggrediscono la strada. Le gocce si distribuiscono sui jeans fino ad inzupparli e l'acqua prova ad inondare anche le scarpe, ma non c'è alcuna reazione, solo noncuranza. Le alluvioni mentali sono peggiori: distruggono le fondamenta di ogni convinzione illusoria. Spesso le cose sono diverse da come le vedi ed è quasi tragicomico capire che la percezione varia da soggetto a soggetto, da attimo ad attimo. Gesti che per te possono essere e sono pugnalate per chi le fa sono solo azioni senza peso e senza fiato sprecato a dare spiegazioni. Il cellulare vibra nella borsa, si ritorna alla realtà: un sms di scarsa rilevanza. Scorro la lista dei messaggi e mi rendo conto che le cose rilevanti non stanno lì, lì è tutto vuoto, apparenza e bon ton di conversazione. Rileggo parole di gente approssimativa e malata d'orgoglio, scuoto la testa e metto via il cellulare. Alzo lo sguardo e vedo una figura in nero che cammina verso di me ma nella direzione opposta, mentre sono quasi arrivata a casa. La riconosco, quella vecchia signora, che abita di fronte casa mia, imbacuccata dentro quello spesso cappotto nero, con l'ombrello nella mano tremante. Una macchina parte a velocità dall'orizzonte, non può non averla vista. Prende in pieno una pozzanghera con la ruota e la bagna da cima a fondo. Mi preparo mentalmente alla stessa sorte, guardando le pozzanghere alla mia destra, ma il giovane guidatore rallenta e suona col clacson. Avrei potuto incenerirlo. Mi avvicino alla signora, salutandola le chiedo dove sta andando con questo tempo assurdo, mi dice che ha bisogno di una prescrizione medica per il marito. La guardo: è fradicia. Ubi maior, minor cessat. Mi volto e cambio direzione.



Non si respira in questa città
e il male sul bene si sa vincerà
non amo non odio non amo non odio
dimmi se è questo che irrita
non amo non odio non amo non odio
dimmi se è questo che irrita
gira la colpa in questa città
gira la colpa prendila
e di dolcezza non ce n'è più
resta l'amaro

mercoledì 11 aprile 2012

Vene svuotate

                                                                                                                         Jake Baddeley

Sei poltrone azzurre e imbottite con i loro ospiti. L'odore di disinfettante  resta dentro le narici, le brucia  quasi, impregna i vestiti. Osservo  in un angolo all'impiedi, sei facce uguali  nell'espressione e nell'essere senza sopracciglia, i cuoi non più capelluti  coperti da cappelli o capelli ben lontani dagli originali. Provette, buste di liquidi da iniettare nelle vene, lacci emostatici pronti a legare la vita malata che scorre nelle vene. Sono una spettatrice intrusa e silenziosa. Nessuno parla, un silenzio quasi necessario e Morgan che canta su radio cuore "applico alla vita i puntini di sospensione". Arriva la valigia col tuo nome, tu scherzi con tutti come se fossi consapevole più di me che questo quinto piano vista sul mare è diventata la tua seconda casa. Focalizzo ogni singola lettera scritta sul portadolore giallo. Due di quelli con cui scherzi legano il braccio e iniziano ad esplorarlo, con fare sicuro, come se avessero una mappa mentale da cui attingere l'informazione necessaria. Ti pungono il braccio sinistro in alto: non esce nulla. Scendono al polso, legono l'avanbraccio, l'ago perfora la carne ma la terapia va fuori vena, diventi gonfia dopo pochi minuti. Passano al braccio destro, gonfia anche quello. Le vene si sono rotte, pulsano  ma non vogliono più intrusi di alcun tipo.  Alla fine riprendono il polso e la panacea entra in vena, dura venti minuti, poi il sangue.


 Don't say it's easy to follow a process
There's nothing harder than keeping a promise
Blood runs through your veins, that's where our similarity ends
Blood runs through our veins

domenica 8 aprile 2012

Comfortably numb



Hello?
Is there anybody in there?
Just nod if you can hear me.
Is there anyone at home?
Come on, now,
I hear you're feeling down.
Well I can ease your pain
And get you on your feet again.
Relax.
I need some information first.
Just the basic facts
Can you show me where it hurts?

There is no pain you are receding
A distant ship, smoke on the horizon.
You are only coming through in waves.
Your lips move but I can't hear what you're saying.
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons.
Now I've got that feeling once again
I can't explain you would not understand
This is not how I am.
I have become comfortably numb.

(solo)

I have become comfortably numb.

O. K.
Just a little pin prick.
There'll be no more AHHHHHHHHHHHHH!
But you may feel a little sick.
Can you stand up?
I do believe its working. Good.
That'll keep you going through the show
Come on it's time to go.

There is no pain you are receding
A distant ship, smoke on the horizon.
You are only coming through in waves.
Your lips move but I can't hear what you're saying.
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown,
The dream is gone.
I have become comfortably numb.

venerdì 6 aprile 2012

Dark & Light

                                                                                                                                     Simeon Solomon

Le liste di buoni propositi, di ottimismi, di cose da fare, di stronzate da non reiterare, sono una delle cose che so fare meglio. Ma mettere in ordine secondo una scala di priorità non ha alcuna utilità.  Le urla e i pianti al piano di sopra, chissà quale dramma adolescenziale si sta consumando questa volta, mi distraggono dal portare la mia croce personale di questi pensieri che non mi abbandonano mai.  "Final cut" mischiato alle urla e ai pianti  crea un atmosfera tra il reale e il surreale. E allora mi guardo, seduta, con le gambe piegate, ai piedi del letto e mi rendo conto di essere proprio sulla linea che divide camera mia a metà. Una stanza azzurra, metà illuminata dalla lampada blu, mezza distrutta da un movimento incauto o nervoso del mio braccio, e metà al buio. L'ironia del buio e della luce che si scontrano  nello stesso luogo e nello stesso istante. Opposti che per quanto possano attrarsi sono destinati a farsi guerra fino alla prevalenza di uno dei due o alla totale indifferenza. Luce e buio non s'incontrano, si sfiorano sempre ma non sanno, non possono e non vogliono mantenere alcun contatto stabile. Come quando hai un interlocutore che ti parla, tu lo ascolti e mentalmente completi le sue frasi prima che lo faccia lui, ma non glielo comunichi e non sai neppure perchè non lo fai.
Ma alla fine è solo una guerra senza battaglie, senza scontri, è la guerra dell'indifferenza e ognuno vince il suo niente. Buio per buio e luce per luce. Li guardo dall'esterno e non trovo soluzioni migliori di spegnere la lampada fatiscente e porre fine a questo massacro. Buio.



This story is old - I KNOW
But it goes on
This story is old - I KNOW
But it goes on

It goes on...

mercoledì 4 aprile 2012

The final cut



Through the fish eyed lens
of tear stained eyes
I can barely define the shape of this moment in time
and far from flying high in clear blue skies
i'm spiralling down to the hole in the ground
where I hide

If you negotiate the minefield in the drive
and beat the dogs
and cheat the cold electronic eyes
and if you make it past the shotgun in the hall
dial the combination open the priesthole
and if I'm in I'll tell you what's behind the wall

There's a kid who had a big hallucination
making love to girls in magazines
he wonders if you're sleeping with your new found faith
could anybody love him
or is it just a crazy dream

And if i show you my dark side
will you still hold me tonight
and if i open my heart to you
and show you my weak side
what would you do
would you sell your story to Rolling Stone
would you take the children away and leave me alone
and smile in reassurance
as you whisper down the phone
would you send me packing
or would you take me home

Thought i oughta bare my naked feelings
Thought i oughta tear the curtain down
I held the blade in trembling hands
prepared to make it but just then the phone rang
I never had the nerve to make the final cut

martedì 3 aprile 2012

Ti diranno che sei poco produttiva

                                                                                                                                 Oleg Tchoubakov

Pioggia, nebbia e silenzi artificiali. Calma apparente. Tutto all'esterno sembra diverso da com'è: vedi un vulcano coperto di neve e puoi solo immaginare che dentro stia rimescolando lava per esplodere, vedi una mela rossa degna di far concorrenza a quella di una fiaba ma non puoi sapere che dentro c'è un verme che la corrode e la fa marcire. Quand'eri più piccola guardavi le stelle e vedevi l'eternità, poi sei cresciuta e sei arrivata al capitolo "morte di una stella" e un'altra stupida convinzione è stata rasa al suolo. Le convinzioni sembrano sempre incrollabili ma sono fatiscenti, credi che siano di cemento armato ma è solo cartongesso.  Mi siedo e guardo fuori, la nebbia, l'incertezza di vedere e non vedere, di sfiorare e non raggiungere. Come quando i tuoi genitori ti hanno regalato la prima bicicletta, sei salita su fiera, come un cavaliere medievale e loro si sono allontanati invitandoti a raggiungerli, allora tu ci hai pensato, li hai osservati e sei partita. Quando eri lì lì a pochi centimetri di distanza loro si sono allontanati. E' stata la prima volta che hai avuto quella sensazione di esserci quasi, di essere vicina ma non abbastanza.  E' la logica del not enough che si appropria di ciò che sei, e allora corri più che puoi e sai che se ti fermi sei finito perchè chi sta correndo dietro di te ti sale addosso.