martedì 23 giugno 2015

Cose che non ti dirò





E' passata più di una settimana da quando ci siamo sentiti l'ultima volta. Ma è come se il tempo fosse molto di più, come se avesse perso forma&contorni, si è dilatato e i giorni passano ora velocemente ora lentamente mentre io sto ferma qui dove ci siamo lasciati, nella stessa stanza.
Non ci siamo neppure guardati negli occhi, non ci siamo detti addio, io non potevo dirtelo perchè non volevo, tu sei stato abbastanza chiaro senza usare quelle cinque letterine.
Sono passati tre anni, e lo so che non sono state tutte rose senza spine, so che i temporali sono stati moltissimi, le nubi ancora di più. Ma credevo ci fosse qualcosa di più forte, qualcosa che andava oltre la razionalità. oltre tutte le persone che mi dicevano che non eri quello giusto per me.
Io ero più testarda di tutto, e non ho dato peso a tutto quello che dicevano, ti credevo, e soprattutto credevo in noi, nella speranza che la nostra storia fosse importante.
Ora guardo indietro e vedo che lo era solo per me, che ero da sola a volere tutto. Ero solo io e tu non c'eri mai. E neppure lo so perchè non c'eri mai, perchè eri preso da te, perchè non amavi me, perchè pensavi a lei. Non lo so. Non mi so dare una risposta. Mi sembra di essere ritornata a nove anni fa, le stesse sensazioni, solo con due persone diverse.
Non ho un bel carattere, a volte sono severa, preferisco essere temuta che compatita, tu sapevi tutti i perchè di questo mondo, ma non ti è importato.
Sapevi che l'ultimo anno dovevo dedicarlo all'università per chiudere il conto che avevo in sospeso, che era quello a non farmi sentire soddisfatta. Ma non ha avuto importanza, anzi l'hai usato contro di me, per dirmi che non condividevamo niente. Cosa potevamo condividere se io non uscivo più manco di casa?
Ho speso tre anni della mia vita a convincermi che volevi veramente me.
E sopratutto ho speso tre anni a convincere te che se i nostri genitori avevano sbagliato tutto, noi potevamo essere diversi. Potevamo essere felici, ma a te non importava.
Avevi sempre rancore, qualsiasi gesto facevo per te, era nulla. Dicevi che mi vedevi sempre insoddisfatta ma non vedevi che stavo lavorando come un mulo, non solo per me, ma anche per noi.
Che senso aveva, avere una carriera e un buon posto se non avevo te con cui realizzare qualcosa?
Ma tu non capivi, pensavi fosse solo il mio ego a doversi soddisfare in qualche modo.
Ho provato a dirti che i nodi si sarebbero risolti se fossimo riusciti ad essere migliori e tu niente.
Dicevi che ti rimproveravo sempre, non capivi che non lo facevo per me, non lo capivi che volevo che imparassi a difenderti, a non farti usare da mezzo mondo. Non capivi che ti amavo, non lo volevi sentire, non lo potevi accettare.
Davi la colpa alla mia diffidenza, al mio caratteraccio, ma forse semplicemente tu non provavi quello che provavo io. Mi hai detto che non avresti fatto gli errori del passato, ma io non ero il passato. Ero il tuo presente, e tu hai preferito gettarmi via e rinchiuderti in te stesso anzichè vedere e accettare che c'era una persona che ti amava nonostante i tuoi mille limiti. Mi hai accusato di essere come le altre, non hai avuto più niente per me, mi hai parlato di ultima telefonata concessa. E io sono sparita. Che potevo fare? Del resto è la cosa che so fare meglio, rendermi invisibile, come inesistente.
Ma per quanto sparisco, non posso non portare con me tutto quanto e chiedermi quanto sia stato vero, e quanto falso, forse mi sono costruita una realtà con lieto fine perchè ne avevo dannatamente bisogno.
Ma so che non sarebbe successo con chiunque. E'successo con te, perchè nei tuoi occhi vedevo la purezza, l'onestà e ora non so più nemmeno chi sei. Mi hai cancellata come si cancella uno scarabocchio da un foglio. Come una macchia dal pavimento. Come qualcosa di sgradito.
E ora mica ti dirò queste cose: non te le scriverò, non te le dirò a voce e so che manco le leggerai, perchè del resto a cosa servirebbe?
Non servirebbe a niente, come quello che ho fatto sempre e quello che non farò più.

lunedì 20 aprile 2015

Fratello gentile


Massacrato di botte
con il cuore spaccato
per aver rovistato
fra le cose e la vita
e morire a occhi aperti
come muore
un fratello gentile

Masticare lo schifo
e scoprirne il sapore
annotarlo con cura
per poter raccontare
e finire da solo in un fosso
con la faccia nel fango
e le risa a guardarti crepare

venerdì 23 gennaio 2015

Se chiudo gli occhi



 19 Ottobre 2014

Se chiudo gli occhi è ancora il 27 ottobre 2013. C’è quella stanza bianca, quell’odore di disinfettante che m’infetta le narici, ci siamo noi attorno al letto di quella persona che ha dato tutto agli altri senza tenere niente per se stessa: mia zia. La vedo ancora pallida, sedata, e spero che sia incapace di capire dove stanno andando a finire le sue speranze, dove sta finendo la sua battaglia durata due anni. Riaffiorano lenti e inesorabili tutti i momenti trascorsi insieme, tutti i consigli, tutti i momenti di sconforto in cui mi stringeva la mano e mi aiutava  ripartire. Quelle ore scorrono lente, ed è un’agonia infinita stare lì razionalmente consapevoli della morte che arriva ma con la speranza di un miracolo che la salvi. E’ un vai e vieni d’infermieri che attendono il decesso, ed è un gesto automatico, come se si stesse parlando di un oggetto e non di un essere umano. Poi mi mandano via, mi spediscono a casa. Ma mentre sono per strada mi richiamano. E allora la corsa disperata, le scale salite a due a due, il respiro spezzato, le lacrime che corrono più veloce di me, e ritorno in quel bianco, quel bianco che oggi non riesco a sopportare, l’abbraccio ma è tardi. Lei è andata via e questa volta non tornerà. Per la prima volta in vita mia sento un vuoto dentro che non credo riuscirò mai a colmare. Un vuoto che mi divora e mi rosicchia nel profondo. Oggi è passato quasi un anno e se chiudo gli occhi so che lei è ancora qua con me a stringermi la mano e per ringraziarla di essere stata per me madre, sorella, zia ed amica le dedico tutti i miei giorni. 


domenica 18 gennaio 2015

Parole desuete



Da quando non ci sei più, ci sono parole che ho smesso di usare.
Le usavo perchè erano desuete e ti facevano ridere.
A volte ti dicevo che avevo tante personalità, e ogni tanto una si lasciava morire per inerzia, oppure scherzando ti chiedevo del "presente" che mi avresti fatto per il compleanno.
E' come se il mio vocabolario si fosse improvvisamente ridotto all'osso, allo stretto necessario.
I primi tempi pensavo che fosse solo una cosa transitoria, adesso so con certezza che un nuovo status destinato a non lasciarmi.
Forse alla fine non è neppure solo il vocabolario ad essersi ridotto, è proprio che io ho perso la voglia di esprimermi, la voglia di chiarire con gli altri, adesso lascio stare e vado oltre. Oltre i silenzi, senza bisogno di cercare risposte, come se tutte le risposte del mondo non serviranno mai a nulla.
Penso a cose pratiche: esami, scadenze, lavoro, appuntamenti e tutte le mie giornate sono scandite da orari ben definiti, senza spazio per pensare a niente che non sia ordinarietà.
Oggi dopo mesi mi fermo, e mi rendo conto che non ho più scritto, non ho più parlato neppure con me stessa.
E ora quando sento una parola, o una cosa che mi riporta a te, mi rendo conto che il suono non è più quello di una volta, è un'eco lontana, un frantumarsi di ricordi vetro che ti tagliano ovunque mentre cerchi di raccogliere i cocci.
Stasera, tra una canzone e l'altra, un esame che si avvicina e i pochi giorni che mi restano, mi chiedo che fine farò, dove mi porterà "la strada giusta" che ho intrapreso.



E non rimane più niente
che mi fa più paura
di me



sabato 10 gennaio 2015

MALEDETTI ITALIANI


I “Maledetti italiani” siamo noi, tutti, senza eccezione: avviluppati in un'identità nazionale che è tanto più forte quanto più è fragile il nostro sentirci comunità. [...] Un brano che è allo stesso tempo un manifesto programmatico, una dichiarazione di appartenenza e un atto d'accusa: verso se stesso, il maledetto me, e verso il paese che ha nutrito e cresciuto la sua musica. Il video che accompagna Maledetti italiani è la rappresentazione plastica del rapporto di odio-amore che gli italiani hanno con il loro paese e con le figure che ne hanno costruito la grandezza o raccontato (e in qualche caso, facilitato) la caduta: un rapporto fatto di umorismo, sorpresa, ammirazione per il genio, ma anche risentimento. È un paese che cambia, quello raccontato dal video e cantato da Colapesce, in modi inaspettati e suo malgrado: un paese che non ha più il volto che aveva cinquant'anni fa, talvolta nel bene, talvolta nel male. Secoli di storia italiana sono raccontati attraverso i volti dei personaggi aggrediti con equanime aggressività dal piccolo Francesco Fallica, “maledetto italiano di nuova generazione” e protagonista del video, che non risparmia nessuno: il concetto di buono e cattivo - di “alto” e “basso” - perde valore.
Siamo tutti italiani, ognuno maledetto a modo suo. 

Il video, realizzato dal collettivo catanese Ground's Oranges con la regia di Zavvo Nicolosi, è stato girato nello studio dell'artista Jacopo Leone e si conclude non a caso con un rogo in cui, tra politici, calciatori, personaggi del cinema, della musica, della televisione, mostri sacri e fieri rappresentanti della cultura italiana nel mondo, brucia anche la foto dello stesso Colapesce. Segno di discontinuità col passato e bisogno di fare tabula rasa degli idoli, dei nemici e anche di se stesso, un po' come i Clash che nel 1977 cantavano: “No Elvis, Beatles, or The Rolling Stones”.