sabato 26 ottobre 2013

Spezzata


"Dovunque stai è uguale, quello che hai te lo porti dentro. Non c'è bisogno di nient'altro che del tuo corpo, è la casa di tutti i tuoi strappi, delle tue cicatrici. Il posto degli affetti che non hai, degli amori che non ti vogliono e di quelli che ti sei costruita per andare avanti. Quello che hai te lo trascini appresso, non è nelle persone e nemmeno nelle cose che ti ricordano delle persone. Quello che hai sta dentro di te."

Valentina D'Urbano- Acquanera

Partire per non ritornare più.


Notte insonne. Non si sente neanche un'anima, il pro e il contro di stare in un piccolo paese di montagna. Il freddo quest'anno non vuole arrivare e il gelo che mi fa da coperta stasera. Mi convinco che è la lavatrice a non farmi dormire, ma lo so bene che c'è dell'altro, c'è sempre Altro. Sono anni che sento che dentro di me  che c'è qualcosa che non va, qualcosa che non funziona. Uno strappo definitivo, uno strappo che stava appeso a una minuscola fibbra rimasta, poi spezzatasi del tutto. Non sono mai stata come i miei compagni di classe e lo sapevo, ma non sapevo che lo sapevano anche loro. Anni fa un ragazzo che era stato da sempre con me in classe e che aveva una cotta per me, trasformata in condanna ad un'amicizia forzata dal fatto che io non volevo saperne di lui, mi ha detto, che io ero sempre stata diversa, che guardavo tutti loro con distacco, che mi allontanavo come se i loro discorsi non avessero importanza, peso, senso ed era per questo che nessuno osava avvicinarmi. Io lo sapevo che non mi avvicinavano, ma non m'importava, mi stava bene così, la solitudine per me non è mai stata un grosso problema, semplicemente non la sentivo, mi faceva stare bene, perchè mi evitava le domande e le non risposte che dovevo dare. E c'era questo filo che conservava la speranza e teneva in piedi la mia persona nella sua parte ancora incontaminata, pura. Poi questo filo si è spezzato del tutto: erano le tre di notte del 30 ottobre del 2006.  Mentre tutti dormivano, tranne me e Lei, svegliata dal mio pianto a dirotto, a me si spezzava qualcosa dentro e diventavo un'altra, diventavo Morgan.
Quella notte in questo stesso letto, con la stessa coperta, ho avvertito  il vuoto che iniziava a riempirmi, che si portava via tutto: la luce dai miei occhi, il sorriso, la dolcezza, la delicatezza, le belle parole, tutto il buono che c'era. I mesi passavano e io non guarivo, non tornavo più, alla fine sono passati anche gli anni e io stessa ho capito che quella persona era morta, adesso ero un'altra. Lei mi guardava e aveva paura perchè non tornavo più, e alla fine si è dovuta rassegnare a volermi bene così rotta com'ero. Il 31 ottobre scrissi la fine sulla mia moleskine senza alcuna pietà, scrissi: oggi il mio cuore si è fermato e ha smesso di amare, non mi fiderò mai più di nessuno. Ho mantenuto la promessa, come se fosse un patto fatto col mio stesso sangue. Per me le promesse sono sempre state sacre, da quando ero bambina e ancora oggi lo sono. All'epoca ero piena di rabbia, perchè ero stata debole, perchè sapevo che non dovevo, ma avevo solo sedici anni e dovevo darmi un'opportunità, una sola di credere che qualcosa di straordinario era possibile. Quell'opportunità me la sono concessa, e si è bruciata, la cenere si è dispersa ovunque e ha sporcato anche la parte pulita che mi era rimasta, ma non mi ha uccisa, mi ha lasciata viva e contaminata. E per certe infezioni non c'è cura, niente che le debelli, si possono solo accettare e considerarle un'anestetico. Le cure sono solo palliative. Ma una cosa in questi sette anni è cambiata, ho smesso di avere rancore, ho perdonato mio padre e ho accettato la sua disfatta, il suo fallimento e la sua resa, l'ho separato dall'idea che nutrivo di lui, e l'ho preso per quello che è, una persona in fondo sciocca e debole. A che serve sparare su una croce rossa?  A niente. A cosa serve odiare? A niente, ti rosicchia l'anima e poi la carne, ti porta via anche le ossa alla fine, ti fa morire. E forse non è sbagliato essere così spezzata se riesco a pagare ancora per tutti i miei sbagli, per tutte le cose che non dico e per quelle che dico prendendo grossi abbagli e grosse mazzate. Ne ho prese tante mazzate, e non mi fanno paura, nemmeno male, il vuoto ha preso tutto, non si allarga più ormai, non ha dove andare, ha coperto tutti gli spazi liberi, e fa parte di me, come un polmone, un rene, come il cervello. Quando il vuoto ti ha preso, niente fa più paura. 


Indossi il vuoto con classe
ma è tutto ciò che avrai

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