mercoledì 4 luglio 2012

Speriamo o almeno fingiamo di farlo

Andrew Wyeth


"Speriamo o almeno facciamo finta di farlo". L'hai detto tu oggi, così chiaramente che ha fatto eco dentro quelle quattro mura spoglie del quinto piano. Guardo, come se fossi una spettatrice cieca, il paradosso di come si rovesciano i ruoli: ieri eri tu a portare da mangiare a me, e oggi sei lì immobile ad aspettare il piatto dalle mie mani ferme. Parliamo del niente, perchè il niente è sempre facile da riempire di parole. La tua compagna di stanza si complimenta con te perchè hai una bella nipote con i capelli così lunghi, tu ne sei fiera e io mi vergogno  di avere un mucchio di capelli attaccati alla testa mentre guardo la cuffietta azzurra che ti ho regalato. "Sembri un sultano" ti dico. E tu ridi di gusto con gli occhi stanchi e la pelle spoglia e secca come un ramo d'autunno, ma la neve non ti coprirà e non sarà lei a portarti via, sarà la clorofilla marcia e non artificialmente alterata. Ti hanno attaccato un braccialetto rosso con nome, cognome e codice d'urgenza,  perchè a volte è più facile se ti dimentichi chi eri e pensi solo a come dev'essere per essere meglio. Ogni volta che voglio dire tante cose finisco col rimanere  sempre zitta a seppellire tutto dentro di me, come se coltivandolo potessi sperare anche solo per un attimo che sia migliore, meno inutile, più pieno. Il tempo scade e io devo andare, ma tu sai che vado via per non andarmene mai. 
 
 
 

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