giovedì 17 luglio 2014

Un destino più che ridicolo



Sono passati quasi otto mesi dalla sua scomparsa, ma ancora oggi i suoi amici chiedono di lei e vogliono sentire la sua "storia". A volte sono tentata di riassumere il tutto con "è stata solo una grande battaglia persa", ma poi sfogo la rabbia che tengo dentro altrove, in genere su me stessa per evitare di scaraventarla addosso a chiunque. La verità è che il tempo passa, lentamente ma passa e io chiudo sempre di più ogni spiraglio di apertura verso l'esterno, rintanandomi verso l'unica cosa che mi da sicurezza: io. Corro sempre come un frecciarossa, senza sapere neppure dove sto andando, se arriverò o se mi spiaccicherò in un muro. Corro e basta, corro per non stare ferma, per non farmi raggiungere dai ricordi, dalle parole. Ma per quanto io scappi la sera quando dopo tutto mi fermo loro vengono ad assalirmi e lì non posso fare a meno di combatterli, e se evito di farlo loro continuano a seguirmi dentro i sogni e lì perdo sempre. Ma perdere alla fine non è neppure così insopportabile o doloroso. C'è di peggio, c'è sempre di peggio. Così me lo ripeto di continuo per pensare che alla fine mi è andata pure bene. Ma nella ripetizione di questo mantra cresce il disprezzo e l'intolleranza verso l'altrui lamentela, verso la debolezza, verso l'inattività. La lamentela gratuita è il male del secolo, l'egoismo che non fa vedere oltre il proprio naso, la mancata considerazione della posizione altrui fa credere di essere i soli ad avere problemi, i soli a soffrire. Ma lo stesso soffrire non è forse un concetto relativo? Una persona che non ha mai avuto alcun problema e si rompe un dito è chiaro che lo vive come un dramma, ma pensa mai che c'è chi ha dovuto vedere che gli amputavano direttamente un arto? No, a nessuno questo pensiero sfiora la mente. Io ho iniziato a chiedermelo, così preferisco tacere non sapendo cos'hanno gli altri. Solo quando so per certo che alla base non c'è niente li fulmino con le parole e spero che almeno imparino l'arte del non vittimizzarsi e del non dare la colpa agli altri dei proprio torti o dei propri piccoli drammi senza valore.


Ne abbiamo attraversate di tempeste
e quante prove antiche e dure
ed un aiuto chiaro da un'invisibile carezza
di un custode.

Degna é la vita di colui che é sveglio
ma ancor di più di chi diventa saggio
e alla Sua gioia poi si ricongiunge
sia Lode, Lode all'Inviolato.

E quanti personaggi inutili ho indossato
io e la mia persona quanti ne ha subiti
arido é l'inferno
sterile la sua via.

Quanti miracoli, disegni e ispirazioni...
E poi la sofferenza che ti rende cieco
nelle cadute c'é il perché della Sua Assenza

le nuvole non possono annientare il Sole
e lo sapeva bene Paganini
che il diavolo é mancino e subdolo
e suona il violino.

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