Poi arriva un giorno in cui ti senti appassito, come se avessi perso tutta la linfa che ti consente di provare emozioni di alcun tipo, ti assale e rosicchia il verme dell'indifferenza. Pensi e ti sforzi pure di analizzare il fatto da più vicino, ti chiedi perchè dovrebbe importarti e non trovi motivo, non scendono lacrime, niente tuffi e neppure graffi al cuore. Niente, quasi come se fosse il momento della resa dei conti, quello in cui tiri la linea e sommi gli anni fino a contarne sedici d'indifferenza, li vedi lì davanti a te e pensi al paradosso: sono tre quarti degli anni che hai tu. E alla fine forse non è stata una saggia mossa spiattellarti davanti un conto così secco, ma mascherare ti avrebbe portato ad un uso sproporzionato ed eccessivo di attenuanti come quello che senti da sette anni, e si sa gli eccessi sono come le carenze alla fine. Meglio non rischiare, di cadere nella trappola della giustificazione a oltranza, labirinti di ragioni che stanno dietro otto parole: "è la differenza di mentalità e di generazioni". Prendi queste parole moltiplicale per due e ottieni sempre quei sedici anni.
Ripeti sempre che gli errori degli altri non giustificano i nostri, e anche stavolta ti torna utile, utile per dire che non vuoi giustificazioni. Perdonare è importante, tu sbagli, ma non ne sei capace, ed è per questo che nessuna lacrima scenderà quando lei non ci sarà più.
Lo so che ti dispiace ma senza troppo impegno.